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02/09/2012
Chi ha inventato il femminile?
«Cosa intendiamo per femminile»? Si apre con questa domanda di Luciana Castellina la seconda giornata degli incontri Women's Tales riguardanti il concetto di creatività femminile. Protagoniste di uno scoppiettante scambio di opinioni: la regista Premio Oscar Susanne Bier, la produttrice Sarah Green (qui a Venezia rispettivamente con i film Love Is All You Need  e To the Wonder) e la direttrice di Unifrance, Régine Hatchondo.
«È giusto utilizzare un termine coniato dagli uomini per definire l'universo artistico femminile»? Con questa domanda, la Castellina ha proposto un lavoro di riconquista del termine attraverso due processi essenziali: innanzitutto, una lotta necessaria da parte delle donne, al fine di liberarsi dal concetto di "femminile" cucito loro addosso dagli uomini, per poi "disseppellire" la propria femminilità e riconquistare un nuovo stato di autentica coscienza dell'essere donna.

«Credo che la creatività non sia dettata dal sesso, ma dal desiderio della persona di vedere realizzate le proprie ambizioni», ha risposto la Bier specificando, sin dalle prime battute, il suo punto di vista rispetto all'universalità della creatività. Secondo la regista, infatti, il discorso deve ruotare intorno  alla qualità artistica dell'opera, indipendentemente dal genere; in tal senso si è opposta all'idea di racchiudere la creatività intorno al termine "femminile", perché si rischierebbe di ridurre le capacità artistiche delle autrici, incasellandole in una definizione, anziché valorizzarle.
Green e Hotchondo, in piena sintonia con con la regista danese, hanno rimarcato l'impossibilità di poter individuare uno sguardo femminile nella visione di un film, e per questo di non poter parlare di creatività in termini legati al genere. La Bier, a tale proposito, ha messo in dubbio il fatto che nei suoi film vi sia qualcosa di particolarmente femminile. Al contrario si è sentita prossima anche all'universo maschile e alle dinamiche che lo animano.

Le protagoniste dell'incontro, con alcune eccezioni soprattutto tra le ospiti italiane, hanno presentato una visione positiva dell'essere donne nel loro ambito lavorativo. La direttrice di UniFrance ha sostenuto che nel suo caso sia stato anche d'aiuto. Rispetto alla distinzione uomo-donna, la produttrice statunitense ironicamente ha confessato di non sapere proprio cosa significhi essere «differente da un uomo» e che la scelta dei film da produrre sia stata più una questione di carattere personale che femminile.

La Castellina ha comunque sottolineato l'esistenza di una separazione e una di una difficoltà maggiore da parte delle donne nell'emergere in una società fondata da uomini e che, per appoggiare davvero la loro creatività, sarebbero necessari dei cambiamenti effettivi a livello sociale, in modo che la donna non debba trasformarsi in uomo. Solo in questo modo si può riconoscere l'identità femminile come valore universale.
La Bier, per parte sua ha ribadito la necessità di un cambiamento e di una riorganizzazione della società pensata anche per la realizzazione completa della donna, portando a supporto della sua critica, i primi quindici anni della sua carriera, nei quali i suoi compensi venivano spesi in babysitter. Ma  si è mostrata altrettanto sicura sulla possibilità per le donne di dedicarsi alle proprie vocazioni e sul fatto che il successo dipenda dalla dedizione e dall'ambizione, doti che vanno al di là del concetto di genere. Secondo la regista danese, il punto sta nel cogliere e abbracciare le differenze culturali e di genere invece di focalizzarsi sull'idea di contrapposizione, concludendo: «chi vorrebbe essere una regista, scelta solo perché donna»? (Roberta Ettori).
 
Potete scaricare qui sotto la registrazione audio dell'incontro, zippata. Il file MP3 è in stereo e contiene su un canale la lingua originale e sull'altro la traduzione in inglese.

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